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Esiste un calcio che è lontano anni luce dagli eccessi, dagli isterismi, dalle folle urlanti degli stadi, dalla pervasiva attenzione mediatica e dai fiumi di denaro di quello di alto livello che scandisce quasi tutte le nostre giornate. E’ un calcio fatto di sano agonismo, amicizia, memoria e condivisione come testimonia la straordinaria epopea della SSD Partenope Soccer che da oltre dieci anni è protagonista dell’AICS Napoli League, un circuito federale riconosciuto dove, diretti da arbitri ufficiali e suddivisi in categorie d’età  – over 40, over 50, over 55 e over 60  uomini, ma prima ancora compagni e amici, continuano a rincorrere un pallone perché l’amore per il calcio come quello tout court non ha età: per coltivarlo è sufficiente avere cuore, fiato e voglia di mettersi in gioco.

È, dunque, un calcio vero, competitivo ma anche profondamente umano e comunitario su cui ha acceso i riflettori l’interessante documentario “Partenope Soccer-Ruderi del gioco del pallone”, sceneggiato e diretto da Francesco Giordano, non nuovo a lumeggiare ciò che i media mainstream colpevolmente trascurano come dimostra il suo (in collaborazione con Maurizio Giordano) bellissimo ed emozionante “Le stanze aperte”, una dantesca discesa agli inferi carcerari.

Aiutato dall’espressiva colonna sonora del giovane autore Matteo Giordano, capace di tradurre in note l’ironia, la nostalgia e il tempo che scorre inesorabilmente, Francesco Giordano, come ‘un invisibile dodicesimo uomo in campo’, ci accompagna alla scoperta della Partenope Soccer tra allenamenti, cene, partite, trasferte, chat infinite e il consueto viaggio premio al termine della stagione che per quella 2024-25 ha avuto come meta Solomeo, in Umbria. Tra momenti di svago, come le nuotate in piscina, visite culturali, e complice una terra che gronda spiritualità, il regista ci restituisce appieno il ‘miracolo’ della sublimazione di una squadra di calcio  in una comunità, in una seconda famiglia in cui c’è anche spazio per il ricordo di chi non c’è più ma il cui spirito aleggia sul campo da gioco accompagnando ogni passaggio, ogni dribbling, ogni conclusione.

Ma, allora, è per ritrovare un senso comunitario in una società sempre più atomizzata che degli over 55enne continuano a sbuffare e a sudare su un campo da calcio? Non solo. A spingerli è anche il desiderio di rivivere le emozioni di quando, bambini, sognavano il calcio e vi giocavano per ore dal momento che, come ricordava con un velo di malinconia Pier Paolo Pasolini, “i pomeriggi che ho passato a giocare a pallone sui Prati di Caprara (giocavo anche sei-sette ore di seguito, ininterrottamente) sono stati indubbiamente i più belli della mia vita”. Ma la partita, ogni sabato mattina, è un anche il più divertente strumento per esorcizzare lo spettro della solitudine e per ricordarsi che non è ancora giunto il momento di ‘abbandonare definitivamente il campo da gioco’. Insomma, per i ‘ragazzi’ della Partenope Soccer il calcio è  il più efficace antidoto all’età che avanza nonché il grimaldello per scardinare la claustrofobica gabbia  del ‘futurismo’ che domina la vita quotidiana, ossia  quella tensione verso il domani che tormenta gli esseri umani e li rende inquieti. Ebbene, nel contesto di tale instabilità il calcio appare come “un’oasi dell’eternità”, una sospensione improvvisa della realtà in cui il comportamento non è più direzionato, finalizzato ma è immerso in un presente privo di scopi, ragion per cui il calcio, secondo il teologo e filosofo Bernhard Welte, rappresenta “una vera e propria anticipazione escatologica del Regno di Dio”.

Non a caso ogni nuova stagione per la Partenope Soccer inizia con la benedizione di Padre Michael che non è solo un momento spirituale ma è anche un rito che rafforza la coesione del gruppo e che immancabilmente si rinnoverà quando tra poche settimane la Partenope Soccer tornerà in campo rimettendo così in movimento le lancette della storia del calcio in quanto, come sosteneva Jorge Luis Borges, “ogni volta che un bambino prende a calci qualcosa per la strada, lì ricomincia la storia del calcio”. Anche quando a prendere a calci un pallone sono dei ‘bambini’ di più di 55 anni.