In Campania torna ad accendersi il dibattito sul condono edilizio del 2003. Un tema che torna protagonista dopo l’emendamento presentato dal centrodestra alla legge di bilancio: la proposta è quella di riaprire i termini della sanatoria varata dal governo Berlusconi più di vent’anni fa.
La legge nazionale del 2003 prevedeva la regolarizzazione degli abusi realizzati entro il 31 marzo di quell’anno, escludendo le aree vincolate: zone paesaggistiche, ambientali e soprattutto le “zone rosse” come il territorio vesuviano. Ma la Regione Campania non recepì la norma nei tempi stabiliti, varando invece nel 2004 una legge autonoma, poi giudicata illegittima. Da quella frattura tra Stato e Regione è nata una lunga scia di conflitti, culminata nelle pronunce della Corte Costituzionale.
Negli anni non sono mancati tentativi di trovare una soluzione.
La Regione provò allora a trasformare gli immobili abusivi in patrimonio comunale, da affittare agli occupanti in difficoltà. Anche questa legge, però, venne bocciata dalla Consulta nel 2018: lo Stato – è stato ribadito – ha competenza esclusiva sul condono, e la demolizione resta la regola.
E mentre la politica discute, i numeri raccontano un fenomeno enorme: 20mila richieste di sanatoria nei comuni campani subito dopo la legge del 2003, di cui 8.700 solo a Napoli. Altre centinaia a Salerno, Afragola, Cava de’ Tirreni e nei comuni dell’area vesuviana, dove restano irrisolte anche 50mila domande dei precedenti condoni del ’85 e del ’94. Nel Parco del Vesuvio, negli ultimi trent’anni, sono state emesse 2.500 ordinanze di demolizione.
Oggi il nuovo emendamento riapre un vecchio capitolo: tra legalità, tutela del territorio e migliaia di famiglie coinvolte, il tema del condono torna a dividere la politica e ad agitare la campagna elettorale in Campania.


