A "L'Orientale" la presentazione di "Abilmente" di Maria Rosaria Ricci

Al Laboratorio di “Tecniche di linguaggio giornalistico” incontro con Maria Rosaria Ricci che ha presentato il suo libro “Abilmente. Il coraggio di non arrendersi”

Quando ho tra le mani un nuovo libro, prima di leggerlo, mi ci balocco un po’ come fanno i bambini con un giocattolo: lo sfoglio, leggo a caso qualche pagina, parola, frase. Insomma, faccio ciò che consigliava Winston Churchill: “Se non riesci a leggere tutti i tuoi libri, in ogni caso vezzeggiali, guarda dentro di essi, lasciali cadere e aprirsi dove vogliono, leggi la prima frase su cui si ferma il tuo occhio, riponili negli scaffali con le tue stesse mani, sistemali secondo il tuo criterio così da sapere dove si trovano. Lascia che siano tuoi amici, lascia che siano almeno tuoi conoscenti”. Per la verità, la mia relazione con i libri è più che amicale, è da “amanti furtivi” che si concedono momenti di intimità nei ritagli di tempo, nelle pause dal lavoro e dalle incombenze quotidiane. Essendo “affetto”, quanto alla lettura, da quello che gli psicologi definiscono “need for closure”, il bisogno di concludere quello che si inizia, divoro in pochi giorni un libro: non mi piace tenerlo per settimane sul comodino accanto al letto leggendo qualche pagina ogni tanto. Purtroppo il lavoro mi concede sempre meno momenti in cui sprofondare nella lettura, di conseguenza preferisco riporre un libro che ho appena acquistato nello scaffale della libreria in attesa di una finestra di tempo in cui dedicarmi totalmente alla lettura. Tuttavia, quel nuovo libro, molto spesso faticosamente cercato nelle librerie e nel web, inizia con me un sottile gioco di seduzione tentandomi irresistibilmente; del resto, si sa, niente accende il desiderio come l’assenza e l’impossibilità di fare avere l’oggetto del proprio desiderio e così, in ossequio a quanto insegnava Oscar Wilde, “l’unico modo per liberarsi di una tentazione è cedervi”, alla fine finisco per dichiararmi “sconfitto” non prima di essermi ripromesso di leggerne solo poche pagine, “al massimo il primo capitolo”, salvo però “bruciarlo” in pochi giorni. Non so se per fortuna o perché scelgo bene le mie letture ma è un copione che si ripete molto spesso, anche con l’ultimo in ordine di tempo, il libro “Abilmente. Il coraggio di non arrendersi” di Maria Rosaria Ricci che l’autrice ha presentato agli studenti del modulo “Tecniche del linguaggio giornalistico” che fa da apripista al “Laboratorio di Produzioni Audiovisive, Teatrali e cinematografiche”, ormai appuntamento irrinunciabile nel calendario accademico dell’Università “L’Orientale” di Napoli, ideato e diretto, come il modulo sulle tecniche del linguaggio giornalistico, dal Prof. Francesco Giordano.

Maria Rosaria Ricci lotta da quando è nata, a seguito di uno sciagurato errore di valutazione del ginecologo, contro la tetraparesi spastica distonica, eppure questa grave malattia invalidante non le ha impedito di emanciparsi progressivamente, con coraggio, determinazione, testardaggine e supportata dall’amore incommensurabile dei genitori, dei familiari e amici, da quella condizione ghettizzante cui purtroppo vengono confinati i “diversamente abili”. Il suo libro, dunque, è il resoconto cronachistico della sua dura e ostinata battaglia per non darla vinta alla malattia attraverso la conquista con caparbietà di ciò che la sua condizione sembra precluderle: la postura eretta, l’autonomia nei movimenti di base, la “lavata di faccia” la patente, il motorino, il lavoro, mettendo a frutto la sua passione per l’informatica, e i tanti successi nei concorsi ippici in sella al suo fedele quadrupede e sempre in coppia con la sua istitutrice Giustina “ricca di valori umani e competenza professionale”. Il tutto raccontato con il sorriso sulle labbra, concedendosi anche qualche intermezzo umoristico, senza recriminazioni né inveire contro la vita (eppure ne avrebbe ben donde), senza intingere la penna nell’acrimonia e nel veleno, tanto che è forte la sensazione che stia narrando la storia di un’altra persona e non la propria (non a caso, è una giornalista), e senza, quindi, indulgere al pietismo o strizzare l’occhio al lettore per ottenerne la commiserazione di facciata pur non facendo sconti sulle tante barriere, fisiche, culturali, mentali, che ha dovuto abbattere lungo il suo cammino: le istituzioni sorde alle sue legittime istanze, le insegnanti di sostegno insensibili, indifferenti o “girandoline” (l’eccessivo turnover tra le docenti di sostegno che le venivano assegnate). Insomma, un bagno di umiltà e uno schiaffo in faccia a tutti quei normodotati che hanno tutto ma sono perennemente insoddisfatti o per quelli ai quali casca il mondo addosso se hanno la batteria esaurita dello smartphone.

Non solo. Con il suo libro autobiografico Maria Rosaria ha messo a nudo le sue fragilità fisiche che ha saputo trasformare nella sua forza morale dimostrando, a costi di sacrifici e grazie a una volontà di ferro, che, come correttamente scrive nella prefazione Don Aniello Tortora, “il diversamente abile non è solamente colui al quale si dà. E’ soprattutto colui che dà” aprendosi agli altri e al mondo, a differenza di tanti normodotati che si rifugiano dietro le loro fragilità per nascondersi e per negarsi all’altro da sé cercando la vicinanza solo di chi sentono simili. Purtroppo, la strada verso il superamento di un approccio esclusivamente assistenzialistico verso le persone disabili in favore di una loro piena integrazione nel tessuto sociale e produttivo è ancora lunga come lascia intendere la stessa Maria Rosaria Ricci quando provocatoriamente si domanda “cosa farò da grande?”. Eppure, propria la sua storia di piccole grandi conquiste e la sua tenace lotta contro il pregiudizio che come uno spettro aleggia sempre sul mondo della disabilità rappresentano la luminosa testimonianza che anche alle persone disabili è indirizzato l’ammonimento del filosofo Francis Bacon: “Gli uomini devono sapere che in questo teatro che è la vita umana solo a Dio e agli angeli è concesso di fare da spettatori”. E di fare da spettatrice Maria Rosaria non ha alcuna intenzione, vuole essere la regista, anzi, la scrittrice del proprio romanzo esistenziale.